Nella giornata di oggi due centri sociali sono stati colpiti, all’insegna di provvedimenti di "sequestro preventivo" da attacchi della magistratura.
Tutta la nostra solidarietà va al PAZ di Rimini ed all’Horus di Roma, spazi che hanno rappresentato, per le proprie città, importanti ambiti d’autogestione, di produzione culturale autonoma, di socialità non mercificata e di elaborazione politica dal basso. Un attacco repressivo che, siamo certi, non fermerà la voglia di lottare e di riappropriarsi di nuovi spazi in cui dare continuità ai loro progetti. Anche in questo va la nostra solidarietà.
In una situazione in cui pezzi di società virano fortemente verso pulsioni intolleranti e razziste, spalleggiati e coccolati da politiche securitarie e da un allarmismo sociale creato ad arte da pezzi delle istituzioni, i centri sociali rappresentano nei territori un nodo cruciale da cui ripartire per prefigurare una società finalmente meticcia, un antidoto che già si realizza in quei processi culturali e politici di cui i centri sociali sono protagonisti. Oggi saper difendere e rilanciare, moltiplicare, la presenza di spazi di agibilità politica, di riaggregazione sociale è quantomai importante. In essi sta la capacità di tornare a plasmare i nostri territori sui nostri bisogni e desideri, di fare argine contro i nuovi barbari dell’intolleranza, di rilanciare la nostra progettualità politica, proprio laddove questo portato politico viene negato.
Ricorre, in questi casi, il ruolo che la magistratura arroga a sè: "sequestro preventivo" dicono gli atti degli sgomberi, "sequestro" quello che a giorni colpirà il Laboratorio Crash! di via Zanardi 106 a Bologna. Ad oggi senza precedenti nella storia giuridica italiana, questo rischia di essere il leit-motiv di una nuova estesa campagna del potere contro l’autonomia politica e sociale che questi luoghi rappresentano.
Di fronte ad una crisi verticale della rappresentanza, con una sempre più manifesta distanza delle istituzioni dalle esigenze di chi vive i territori, il potere non può permettersi l’esistenza di spazi sociali. La classe politica di oggi deve preservare sè stessa nelle sue vuote forme, deve perpetrare i propri privilegi e i propri affari, deve presentarsi come naturale e ineludibile. I conflitti sociali incrinano questa immagine: sta nelle mobilitazioni contro la riforma Gelmini, sta nei rapidi passi in più fatti a Milano in ricordo di Abba, sta in quanti lottano contro razzismo e fascismo per una società meticcia.
Nei conflitti abbiamo costruito la nostra storia.
Ed è per questo che oggi è tramite la magistratura che portano un attacco: non più atto di scelta politica, ma semplice procedura giuridica quella di sgomberare uno spazio, quella di negare il diritto all’abitare, quella di intimidire e rifiutare ogni forma di dissenso in quanto tale.
I bei sogni di un orizzonte legalitario e solidale caldeggiati da qualche sindaco sceriffo in cerca di maggior potere, il mito della sicurezza come bene comune da rincorrere con decreti e proibizioni tramontano con la destra radicale che torna ad uccidere per le strade, tramontano col volto tumefatto di un ragazzo "colpevole" di essere "diverso" agli occhi di qualche vigile.
Di fronte a questo crescente regime di disciplinamento e controllo, di negazione del diverso, di generale attacco alle nostre condizioni di vita, saper articolare forme di resistenza rimane come urgenza assoluta.
In questo sta la scommessa di una assunzione collettiva della difesa di questi spazi.