Caricato il presidio sotto il consolato greco

Oggi sotto il consolato
greco il movimento antagonista ha rovesciato intelligentemente lo
slogan no-gelmini, dicendo con forza "NOI LA CRISI VE LA CREIAMO".

All’inizativa promossa dal Laboratorio Crash! hanno partecipato decine
di compagni e compagne, studenti, precari, e giovani migranti che di
minuto in mimnuto hanno fatto aumentare la presenza al presidio fino
alla costruzione di un breve corteo di 200 partecipanti. In solidarietà al movimento greco con
Andreas nel cuore abbiamo resistito alle cariche della polizia che con
l’estrema violenza e brutalità che li ha già contraddistinti durante
l’ultimo sgombero dal laboratorio Crash
, volevano mettere fine
all’inizativa. Ma il presidio ha resistito alle due cariche della
polizia continuando a bloccare per più di un ora la circolazione.

Bologna uno dei cuori antagonisti della società italiana in tempi di
crisi anche oggi ha dimostrato con intelligenza tutta la determinazione
che ci vuole per continuare a produrre conflitto e socialità libera! Vogliamo
socializzare con tutti e tutte questa ricchezza che in due settimane la
nostra città, la sua parte antagonista, ha prodotto, sta producendo.
Sembra che nella città dello Sceriffo Kofferati non sia più tollerabile
fare un volantinaggio o portare uno striscione in piazza, per questo la
nostra risposta intelligente è stata e sarà resistenza. Diciamo
chiaramente che il Laboratorio Crash, temporaneamente senza casa, non è
disposto ad accettare repressione e criminalizzazione e rivendichiamo
la direzione-movimento che abbiamo preso. Come in Grecia anche a
Bologna l’unica risposta che si da alle istanze e ai bisogni sociali è
repressione.

Il movimento greco composto da milioni di studenti, precari, pensionati, lavoratori da mesi si sta battendo contro i progetti del governo 
che in tempi di crisi promuove la svendita del welfare state, taglia
redditi, salari, svendendo il presente ed il futuro di tutto un popolo,
sacrificato sull’altare della compatibilità economica neo-liberista.
Alexis come il resto del popolo greco, con la sua lotta ha urlato con
forza "Non abbiamo più paura", ha urlato con forza "La crisi la pagate
voi!" e per questo è stato ucciso a freddo dalla polizia greca. Alexis
continua a vivere nelle lotte contro la precarietà esistenziale in
Grecia così come in Italia e nel resto d’ Europa, perchè le istanze
sociali e politiche che tutti e tutte assieme poniamo all’ordine del
giorno dell’ agenda politica globale, non accettano mezze risposte o
repressione; accettano solo la soddisfazione diretta ed immediata dei
propri bisogni e desideri: diritto alla casa, redistribuzione sociale
della ricchezza che tutt* creiamo, reddito sociale garantito, un futuro
libero da precarietà, fascismo e sessismo.

Oggi abbiamo bloccato la circolazione della crisi in via indipendenza,
amplificata dalla presenza vergognosa e sgradita del consolato greco,
macchiato dall’infamia di rappresentare la repressione nei confronti
del popolo greco.
Continueremo a bloccare la circolazione della crisi con la nostra
resistenza, al grido "se ci bloccano il futuro noi blocchiamo la città!"

Sabato 13 alle 17h su Ponte Matteotti diremo che la nostra freccia rossa si chiama RESISTENZA e prende la direzione Val di Susa.
Il progetto TAV duramente conntrastato da un forte ed ampio movimento
di massa, è l’ennesimo progetto neaoliberista in tempi di Crisi, e per
questo siamo convinti che sia giusto e legettimi contrastarlo e
contestarlo. Domenica mattina infatti ci sarà l’innaugurazione della
linea TAV bologna-milano, per questo diamo appuntamento sabato a un
momento di comunicazione radicale. Il Laboratorio Crash resiste come la
Val di Susa, nessuno sgombero ci ha fermato e presto avremo di nuovo
una casa.

Alexis è vivo è lotta insieme a noi!


Laboratorio Crash!

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Andreas vive! Presidio a Bologna

Anche
la Grecia è in rivolta perchè travolta da una crisi globale (economica
e scolastica) che, gli studenti in primis, non vogliono pagare…!
Scuole occupate, cortei studenteschi e presidi sono all’ordine del
giorno.
Ma in Grecia come in Italia e nel resto d’Europa l’unica risposta alle
istanze dei movimenti sociali è repressione, sgomberi e in questa
odiosa occasione anche omicidio.
Andreas studente di 15 anni sabato scorso è stato ucciso da una
pallottola sparata a freddo da agenti di polizia nel quartiere
Escheria, presenza provocatoria dei corpi speciali greci Blue Suit, a
cui Andreas e i suoi compagni si stavano opponendo.


La lotta di Andreas è la nostra lotta!


La nostra città è da anni teatro di sistematica repressione dei
soggetti deboli e delle componenti dell’antagonismo sociale a cui si
negano spazi di aggregazione con polizia e manganelli.
Andreas è vivo e lotta insieme a noi!

Il Laboratorio Crash da appuntamento domani mercoledì 10 dicembre alle 17 in via Indipendenza 67 al Consolato Greco per un presidio.

Laboratorio CRASH!

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The Day After: alcune riflessioni

Gli spazi sociali in queste prime giornate di crisi globale sono al centro della repressione in molte città. Questo
autunno, dal nord al sud d’italia, ha visto diversi sgomberi e azioni
da parte delle istituzioni, siano esse gestiste da pdl o pd, volte a
reprimere o criminalizzare storiche o nuove esperienze di autogestione.
In questa fase attaccare uno spazio sociale vuol dire tentare
di sottrarre al conflitto e all’antagonismo uno strumento decisivo per
la ricomposizione politica giovanile, del precariato e della
soggettività migrante,
vuol dire sottrarre quello strumento
che da circa 30 anni a questa parte da la possibilità di costruire
percorsi politici e culturali autonomi e antagonisti.

Che Bologna fosse la cavia predestinata su cui sperimentare le
politiche securitarie e ultra-autoritarie adeguate alla fase si è
chiarito in questi anni di amministrazione Kofferati. Forte in prima
battuta del consenso "a sinistra" e del suo carisma personale, il sig.
Kofferati si è poi lanciato con grande energia e passione sul terreno
della cosi’ detta legalità, dichiarando di fatto guerra ai soggetti
deboli e precari che abitano la metropoli.
Troppo spazio prenderebbe l’elenco delle vittime della guerra per la
"legalita’" fatta dal sindaco sceriffo, in questa occasione quello che
ci preme socializzare è che la proposta antagonista bolognese ha fin da
subito smascherato questo progetto e lo ha fatto oggetto di critica e
forte opposizione sociale.
Il sindaco sceriffo di Bologna ha
di fatto preparato il terreno al ministro Maroni e qui in città ha
anticipato le misure di emergenza crisi che passano anche sotto il nome
di pacchetti sicurezza.

La manifestazione del 6 ottobre scorso, forte di un’ampissima
partecipazione cittadina e nazionale aveva saputo decretare dal basso
il rifiuto radicale alle sperimentazioni sociali del sindaco Kofferati.
In
completa autonomia dai partiti il blocco antagonista scendeva in piazza
per difendere gli spazi sociali e contestare il modello cofferatiano.

Le due settimane di sgomberi e repressione che hanno colpito il
Laboratorio Crash! si iscrivono all’interno di questa storia, che è la
storia della guerra per la legalità ma anche, e quello che ci interessa
di piu’, la storia dell’antagonismo e della costruzione dei blocchi
dell’opposizione sociale. Lo sgombero avvenuto ieri mattina (3
dicembre) è il tentativo dell’amministrazione di mettere la firma sulla
fine di questa storia,
facendolo con il ricorso ai manganelli e alle cariche della polizia, peccato
per loro che ieri, come sempre, quella firma l’abbiano messa i compagni
e le compagne antagoniste della città che resistendo e avanzando contro
la polizia sono riusciti a rispondere allo sgombero e a conquistarsi il
centro cittadino, bloccandolo per ore e occupandolo con i discorsi e le
pratiche del conflitto, del contropotere e dell’autonomia.

 

Da Bologna cavia del laboratorio kofferati fino all’italia del nuovo
governo berlusconi il segnale forte che emerge dagli spazi sociali è
che la ricchezza poltica e culturale che li abita non siamo disposti a
venderla o lasciarla indifesa.
Ieri pomeriggio mentre qui a Bologna resistevamo all’ennesima carica,
le prefetture, le piazze, e le strade di molte città d’italia venivano
presidiate da collettivi e centri sociali.
Una sorta di prova
tecnica già incisiva e forte della pratica della solidarietà in tempi
di crisi. Come compagni e compagne del Laboratorio Crash! salutiamo
questo primo evento politico di carattere nazionale, assicurando fin da
subito mobilitazione, presenza e comunicazione qui a Bologna qualora in
qualsiasi altra città venisse messa in discussione la presenza di uno
spazio sociale. Abbiamo forse il privilegio di vivere in una città
laboratorio, una città che anticipa sulla pelle di migranti, studenti,
precari e proletari le politiche di controllo, sfruttamento e
repressione del futuro. Questo "privilegio" lo vogliamo come in passato
anche questa volta condividere con tutti e tutte quelli che a questa
politiche vogliono opporsi, e lo vogliamo fare ripartendo
proprio da quello strumento eccezionale che i movimenti antagonisti
hanno saputo costruire tra la determinazione del conflitto e la gioia
della riappropriazione: gli spazi sociali.

 

Ribaltare la situazione, si puo’! Lo dobbiamo fare!
Bologna inizia a vedere le sue strade sgomberate dalla socialità e
dalla cultura costruita dal basso; attraverso provvedimenti mirati a
colpire i luoghi di aggregazione, i territori stanno diventando luoghi
dove iniziano a farla da padrone fascisti, razzismo, omofobia e
intolleranza. Contro questa dinamica che attraversa non solo Bologna,
ma anche l’Italia, sappiamo che la nostra presenza militante nei
territori, e la nostra capacità di sperimentare linguaggi, culture,
musiche e forme di aggregazione all’interno e fuori dai centri sociali
è la risorso necessaria e adeguata.

Oggi in tempi di crisi globale lo slogan che il movimento
No-Gelmini sta facendo riecheggiare nelle piazze Italiane "Noi la
vostra crisi non la paghiamo!" si sta traducendo da tempo in pratiche
concrete di riapporiazione diretta che incidono sui meccanismi reali
della speculazione finanziaria e della rendita affermando con forza che
d’ora in poi "La crisi la pagate voi!".
I movimenti di lotta
per la casa contro la speculazione finanziaria/immobiliare, le
popolazioni in rivolta contro gli inceneritori ed i rigassificatori, i
territori in rivolta della Val di Susa contro la TAV e di Vicenza
contro le basi di guerra, segnano conflitti che mettono in crisi le
politiche di guerra, del workfare e della messa a valore della vita
intera di tutti e tutte noi. Ad un capitalismo che fa della precarietà
lavorativa e di vita una condizione strutturale e che mette a lavoro
differenze, linguaggi, saperi e sentimenti, la sua messa in crisi in
tempi di crisi passa attraverso la riappropriazione di quote di
ricchezza sociale che tutt* noi creiamo ma di cui veniamo espropriati,
dirottata com’è in decreti salva-banche e piani di recupero di
Alitalia, all’insegna della privatizzazione dei guadagni e della
socializzazione delle perdite.

Ripartire dai centri sociali significa riappropriarsi di spazi
sottraendoli agli immobiliaristi ed alle finanziarie, restituendoli ai
precari, i legittimi proprietari, e facendo di questi luoghi di
creazione autonoma di linguaggi, bisogni e desideri; nodi territoriali
che rompano con la circolazione del capitale e che sappiano imporre
quella delle lotte e dei conflitti reali.

Laboratorio Crash!

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Crash! Bologna 500 in presidio e ancora cariche – Presidi in diverse città

Aggiornamenti dal presidio di Bologna:

Alle luce natalizie che circondano le due torri bolognesi oggi si sono
aggiunte molte luci di una lotta che non vuole spegnersi molto
facilmente. 500 persone hanno risposto al presidio contro lo sgombero del Laboratorio Crash!
Molti gli slogan che eccheggiano le parole dei movimenti di questi
mesi: "Noi la crisi non la paghiamo" e "Indietro non si torna". Al
presidio erano presenti anche diversi studenti della mobilitazione
delle scuole e delle università.
Nell’incrocio più importante del centro della città si è
formato un blocco stradale che è durato circa un’ora ribadendo
continuamente la determinazione a difendere gli spazi sociali
, ora più che mai antidoto ad un società sempre più barbaramente fascista, razzista ed intollerante.
Verso le 19 la polizia si è avvicinata agli striscioni del laboratorio Crash e dell’Aula 1 di Giurisprudenza ed è partita una
carica durata diversi minuti. I manifestanti hanno però saputo
rispondere e contro la polizia sono partiti petardi e bottiglie,
mantenendo in questo modo il blocco sulla strada.

Successivamente la decisione è stata quella di partire in corteo, lungo via Rizzoli per arrivare fino in piazza Nettuno.
Nella piazza il corteo si è sciolto, dopo aver ribadito, anche sotto
palazzo d’Accursio, che la repressione non ferma quello che è la lotta
per gli spazi sociali, a Bologna e in tutta Italia.



…In attesa di un nuovo Crash!




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Dalle altre città:


Presidi sotto le prefetture di Palermo, Modena e Torino.

Iniziative anche a Reggio Calabria, Pisa, Brescia, Cosenza, Milano, Verona, Livorno e Cremona.

A Pisa è stato organizzato un presidio da parte dell’assemblea
antirazzista: nel mirino il delirio securitario del sindaco di
centrosinistra della cittadina Toscana. Il presidio è stato anche
occasione per portare solidarietà ai compagni/e di Crash! sgomberati
questa mattina.

A Roma si terrà questa sera una assemblea per decidere in che modo
portare solidarietà al laboratorio occupato Crash! di Bologna
sgomberato questa mattina.

A Padova è stato occupato un nuovo spazio da parte dei compagni e
compagne del laboratorio Fuo.Co. che porta solidarietà anche ai
compagni/e sgomberati a Bologna

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A Bologna: ancora sgomberi e polizia – Crash sgomberato con cariche e feriti


Lo sgombero

Stamattina, prima delle 7, Bologna si è svegliata con un nuovo sgombero, quello del nuovo Laboratorio Crash! occupato per dare seguito alle iniziative interrotte dal sequestro dello stabile di via Zanardi 106.
Ad effettuare lo sgombero un centinaio tra celere, carabinieri e DIGOS.
I ragazzi del laboratorio appena radunati hanno risposto con blocchi stradali,
portando in strada i tavoli e le sedie che sarebbero servite alle
prossime iniziative, tornando ora invece, ancora una volta, prive di
scopo, come l’edificio di via Donato Creti 24.
La polizia ha reagito con violenza caricando più volte i
blocchi stradali che si sono sciolti e riformati, percorrendo tutta la
via, fino all’incrocio con via Stalingrado.

Proprio qui si è verificata una carica molto brutale nella quale alcuni
ragazzi sono rimasti contusi, una ragazza è stata ferita alla testa ed
è stato necessario l’intervento dei medici 118 ed è stata
successivamente portata al pronto soccorso in cui le sono stati messi 6
punti alla testa. La ragazza è ancora in ospedale.

Al momento il presidio si è sciolto, ma gli attivisti hanno annunciato che non
può essere ancora scritta la parola fine, perchè Crash continuerà a
muoversi finchè non verrà riconosciuta l’importanza dei percorsi
politici e culturali finora messi in campo nella città.




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Di seguito il comunicato del Laboratorio Crash!




APPUNTAMENTO A BOLOGNA SOTTO LE DUE TORRI ALLE 18

In due settimane 3 sgomberi! Il Laboratorio Crash resiste…

Dalle barricate di via Donato Creti diamo appuntamento sotto le due
torri alle ore 18h per continuare la giornata di lotta e resistenza.
Dalla periferia al centro della città, dal nord al sud d’Italia
oggi sara’ la giornata in cui il blocco dell’antagonismo sociale dira’
chiaramente che nessuno sgombero sara’ piu’ tollerato.
In
questi tempi di crisi sociali se i poteri delle città pensano di
contrastare e reprimere la costruzione di spazi sociali, non hanno
ancora capito con chi hanno a che fare…
Ancora oggi come il movimento no-gelmini saremo in piazza per dire che
in dietro non si torna e se ci bloccano il nostro futuro noi
bloccheremo le nostre città…
Bologna 3 dicembre 2008… e questo è solo l’inzio! Noi la crisi non la paghiamo! D’ora in poi a pagarla saranno solo loro!

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Un nuovo Crash in città!

Questa mattina alle ore 10.45 il Laboratorio Crash! riparte con una nuova occupazione in via Donato Creti 24.
Mercoledì 26 novembre il vecchio stabile occupato lo scorso anno al
termine del corteo lanciato il 6 ottobre, è stato posto sotto sequestro
dalla magistratura. Ed oggi a distanza di tre giorni Crash da vita ad
un nuovo momento di rivendicazione e di lotta sul tema degli spazi di sociali.
In questo momento gli attivisti stanno comunicando con il quartiere che
ospita il nuovo stabile con volantini e con interventi al megafono.
Sul posto sono giunte le forze dell’ordine, ma la situazione sembra essere non allarmante.

Oggi pomeriggio alle ore 16.00 è già in programma un’ assemblea aperta alla città e a tutte le realtà di movimento
per parlare delle politiche securitarie e di distruzione degli spazi di
socialità, che stanno consegnando la città di Bologna in mano a derive
razziste e xenofobe come testimoniano gli ultimi eventi accaduti gli
scorsi giorni.
 
 

seguiranno aggiornamenti ed interviste.

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E’ il momento di tornare a far fischiare il vento!

I
compagni e le compagne del Laboratorio Crash esprimono la loro
solidarietà al militante di Rifondazione Comunista aggredito ieri
pomeriggio da un sedicente fascista in via Indipendenza.

Non staremo qui a fare un lungo quanto odioso elenco degli ultimi
episodi di violenza fascista e razzista e di intolleranza sociale che
hanno macchiato l’attualità della cronaca cittadina.
Quello che ci preme sottolineare in questa occasione è la generale deriva culturale e sociale che sta prendendo questa città, dal centro alle sue periferie.
Se in pieno giorno e nella centralissima e frequentata Via Indipendenza
un fascio si sente legittimato a maneggiare apertamente una lama contro
un ragazzo individuato come comunista, non è il frutto di una bravata
come qualche giornalista vorrebbe farci credere, ma è il risultato a
cui stanno portando delle precise scelte poltiche e amministrative di
una giunta "di sinistra" che dal sua insediamento non ha fatto altro
che applicare con disciplinata solerzia tutti i decreti che i governi
di centro destra hanno promosso per organizzare nel loro senso la
società italiana. Una giunta che dopo aver sacralizzato la
parola legalita’ si è scagliata con la violenza di un carro armata
contro tutti i soggetti deboli e contro tutte quelle forme di socialità
capaci in un modo o nell’altro di contrastare derive intolleranti,
razziste e omofobiche
.
Daltronde a Bologna, è anche possibile schiaffeggiare l’identità e la
memoria partigiana durante una festa dell’unità vendendo gadget
nostalgici dedicati al duce e al fascismo!

Crediamo che sia urgente e necessario ridare con forza
protagonismo alla cultura e al discorso antifascista, e siamo convinti
che in questa fase ciò passa anche per la difesa degli spazi sociali
autogestiti
, una delle ultime risorse che hanno tra le mani
tutti quelli che si sentono di parte, della parte giusta, quella
orgogliosamente anitifascista.

Non è accettabile che nella nostra città venga messa in
discussione l’agibilità delle sue strade e delle sue piazze da parte
dei militanti antifascisti
e per questo ci rendiamo fin da
subito disponibili a contribuire alle iniziative di lotta e
comunicazione che verranno promosse, ma crediamo, e su questo è
necessario uno sforzo maggiore di critica e iniziativa quanto centrale
è la questione, che non sia piu’ accettabile che venga messa in
pericolo la vita di qualcuno solo perchè ritenuto diverso a causa delle
sue scelte affettive, della sua provenienza geografica o del suo stile
di vita.

A Bologna da quando sono state sgomberate le piazze e le strade
attraverso ordinanze e militarizzazioni l’aria fresca della socialità
ha fatto spazio alla puzza nauseabonda delle fogne fasciste, è il
momento di tornare a fare spazio, è il momento di tornare a far
fischiare il vento!

Laboratorio Crash!

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Per un uso antagonista della crisi

Stiamo attraversando un frangente storico in cui la stessa nozione di
“fase” (politica, economica) potrebbe presto perdere di senso perché
incapace di comprendere e spiegare una temporalità e un orizzonte
differenti per natura
da quelli che li hanno preceduti. Ci troviamo di fronte ad una crisi
ancora non misurabile coi parametri classici e che ci si presenta
innanzi (forse per anni) come sfondo normale del nostro vivere e agire
politico quotidiano. Una crisi non congiunturale quindi, ma di
medio-lungo periodo, strutturale e sistemica. Una crisi formatasi in un
contesto di globalizzazione capitalista compiuta, originatasi negli
Stati Uniti ma propagatasi viralmente in tutto il globo, creando un
sistema deficitario globale che intacca l’Asia e l’Europa, l’Africa e
l’America Latina. Nessuno è al riparo dalla crisi ma non tutti
pagheranno gli stessi costi, in termini assoluti e proporzionali. In
alcune aree dell’ex-Terzo Mondo gli effetti della crisi sono stati
pagati preventivamente con la manifestazione di una crisi alimentare
che è già anticipazione di futuri disastri, laddove è la stessa
possibilità di sussistenza (cereali come petrolio) ad essere quotata in
borsa. Così, a differenti livelli, per quote consistenti di popolazione
statunitense è l’intero sistema-welfare a essere giocato sui tavoli
delle roulettes finanziarie attraverso la privatizzazione del deficit spending.
In Europa, Asia e LatinoAmerica la crisi colpisce con gradi e intensità
differenti ma quello che  è certo è che non si sta dando alcun decoupling (sganciamento) rispetto a una crisi che è globale.

Ma di cosa parliamo quando diciamo “crisi”?
Marxianamente, leggiamo la crisi dentro il rapporto sociale capitalista
di produzione e riproduzione. Nella sua forma ciclica il capitalismo
alterna periodi di sviluppo e crescita a fasi di recessione e declino.
E’ bene ricordare che nel sistema capitalista la crisi non è mai
momento accidentale o frutto di singolare malagestione ma elemento
interno e strutturale, momento periodicamente ritornante del suo modo
di produzione. Arma strategica con cui ristabilire nuovi e più
schiaccianti rapporti di forza. Addentrandoci nel lessico capitalista
possiamo equiparare il termine crisi a “distruzione”, sviluppo a
“creazione”. Ma costruzione e distruzione dentro e per il mantenimento di un ordine capitalista, da sempre intrecciate in quella distruzione creativa che da attribuzione del singolo capitalista sembra oggi diventata proprietà sistemica.
In una fase ascendente (o di sviluppo) riproduzione sociale e
riproduzione sistemica (capitalista) coincidono, il capitale si fa
“sociale”. In  una fase di declino (o crisi) le loro strade divergono e
si dissociano. Le capacità distruttive del capitalismo emergono oggi
nello iato che intercorre tra esigenze della riproduzione sociale e
costi della riproduzione sistemica. Non è solo che il Capitale si trova
oggi ancora una volta a scegliere quali e quanti pezzi di società e
sistema distruggere per ricreare un nuovo, più esteso e intensificato,
ciclo di accumulazione di ricchezza sotto il segno della legge del
profitto. Questo, lo farà! Per il Capitale si  tratta oggi di
ripresentare, declinato in forme nuove, un uso capitalistico della crisi all’altezza
dei tempi. Ma ciò non toglie che quello iato è divenuto enorme nella
forma di una crisi che è contestualmente economica, ecologica,
sistemica: una crisi della riproduzione sociale complessiva che fa
vacillare ogni misura “anticiclica” tradizionale.

L’ostacolo (per noi occasione?) che il sistema capitalista si trova
oggi innanzi è infatti quello di una crisi creata non per fronteggiare
un’insubordinazione di classe su larga scala ma come risultante (sempre
di nuovo rimandata) di un lungo processo di creazione di capitale fittizio
(cioè virtuale, sganciato da ogni forma sostanziale di ricchezza) che
negli ultimi tre decenni ha preso la forma di pura speculazione.
L‘inghippo (per tutti) è che questa economia virtualizzata è legata a
doppio filo all’economia reale al punto che interi pezzi della
riproduzione sociale statunitense (ma non solo, il virus intacca anche
pezzi d’Europa  con lo spregiudicato uso dei derivati, ecc.) sono nelle
mani della finanza. In questo senso non si può più parlare oggi di una
distinzione netta tra economia reale ed economia finanziaria, nel
momento in cui fondi pensione, bilanci regionali, fondi-cassa di
imprese fino ai conti correnti del risparmiatore minuto vengono giocati
alle roulettes di un capitalismo-da-casinò. Ciò vuol dire che non si
può liquidare la faccenda pensando che sia affare di brokers e
banchieri. Nel momento in cui le due dimensioni sono intrecciate i
ripetuti crolli delle borse internazionali bruciano con sé – ad ogni
picchiata – pezzi consistenti della ricchezza (povertà) complessiva:
posti di lavoro, garanzie sociali, beni comuni. E, anche e 
soprattutto, pongono un’ipoteca ancora più gravosa – coi famigerati
“salvataggi” – sulla produzione di ricchezza e relazioni sociali future.
L’orizzonte che si prepara per una parte consistente di umanità è
quello di una lotta all’ultimo sangue tra espropriazione capitalista
della vita e fronti di resistenza/riappropriazione/costruzione del
comune.

Una ridefinizione dei poteri

Il portato distruttivo di ogni crisi capitalista non risparmia dal suo
campo d’azione – ed è per noi il nodo centrale – anche i rapporti di
potere operanti nella società che, come tutto il resto, subiscono 
delle variazioni e delle pressioni al cambiamento. Non è arduo
ipotizzare per i tempi a venire l’emergenza di nuove forme politiche il
cui segno non è ancora definito ma che saranno posta in gioco e campo
di battaglia delle forze in campo.
Da molto tempo la forma politica dell’Occidente capitalista, la
democrazia rappresentativo-parlamentare, segna il passo mostrando non
poche difficoltà (specie in Europa) a riformare/innovare il sistema.
Questo assunto è vero tanto per i movimenti (sociali, di classe) quanto
per il comando capitalista. La perdita di legittimità del ceto politico
istituzionale radicalizzatosi in questi anni e che abbiamo definito
come crisi della rappresentanza
altro non è stato che sintomo e primo manifestarsi di una ben più
radicata crisi del sistema politico istituzionale nel suo insieme,
crisi a suo modo segnalata anche dall’elezione di Obama. Dal punto di
vista dei movimenti, la democrazia formale (che è anche
l’unica esistente) funge da ostacolo e recupero dentro la compatibilità
sistemica di istanze di rivendicazione potenzialmente più radicali; dal
punto di vista del comando, è freno e resistenza ai tentativi di
innovazione e ristrutturazione di parte capitalista. Anche se, va
detto, i due lati non sono simmetrici per i movimenti e i nuovi
soggetti potenzialmente antagonisti: che sono alla ricerca di una
confusa forma di democrazia “post-politica” in cui tende a venir meno
la scissione, propria del movimento operaio tradizionale, tra
cooperazione sociale da ricostruire e autorganizzazione del conflitto

Una delle ipotesi da considerare è che, dentro questo quadro, un ruolo non minore sarà quello svolto dai ceti medi,
da sempre centrali nel garantire la riproduzione sociale complessiva in
termini di trasmissione del sapere tecnico-scientifico e legittimazione
ideologica del quadro istituzionale. In cambio di un riconoscimento di
status e reddito, questo blocco sociale ha incarnato nel secondo
Novecento la desiderabilità del regime democratico, sintetizzato nelle
promesse dell’american dream e nelle sicurezze della socialdemocrazia europea.
Oggi questa galassia sociale, tanto mutata e variegata in termini di
professioni e funzioni produttive quanto omogenea dal punto vista dei
valori e dei riferimenti, sta vivendo un attacco senza precedenti ai
propri standard di vita (salari, garanzia di stabilità, accesso ai
consumi) e  relativa auto-rappresentazione.
Il percepirsi come mera estensione della working class
e appendice sacrificabile della riproduzione capitalista potrebbe farne
venir meno il ruolo storico di cuscinetto della lotta di classe,
soprattutto nella misura in cui la questione del debito e della rendita
si porranno sempre più come terreni di scontro piuttosto che di consenso.
L’interrogativo circa il loro comportamento è tanto più importante se
consideriamo il precedente storico della crisi del’29, troppe volte
citata nei commentari odierni. Nelle tre risposte, pur diverse, a
quella crisi (new-deal americano, stato  “autarchico” nazi-fascista
europeo e socialismo sovietico stalinista) centrale fu il ruolo dei
ceti medi, ovunque interpreti e propaganda-vivente del nuovo corso
istituzionale.

Alla definizione di un nuove ordine e alla relativa
istituzionalizzazione di nuovi rapporti di forza politici ed economici
parteciperanno tutti quei pezzi della composizione sociale che
penseranno di avere qualcosa da guadagnare (o nulla da perdere)
dall’ingaggio nel conflitto sociale. L’esito di questo processo non è
scontato, quello che è certo è che siamo di fronte a un bivio
e ci ritroveremo presto o tardi di fronte a scelte (da ambo le parti)
le cui conseguenze saranno notevoli sul piano economico, sociale e
politico. Dentro questo quadro, il nodo per noi politico e centrale è –
come sempre – quello degli spazi di antagonismo che si apriranno.

Le conseguenze sul quadro internazionale

Globale e sistemica, la crisi non ha tardato a produrre effetti molto
concreti a livello proprio di globalizzazione. Le mutazioni dei
rapporti di potere prodotti dalla crisi agiscono ed agiranno ad ogni
livello: internamente alle singole aree macronomiche e nazionali, tra i
poli capitalistici.

La vittoria di Obama negli States è pienamente da leggersi come primo
effetto, sul breve periodo, della crisi capitalista globale. Se
l’amministrazione Bush fosse riuscita a contenere ancora per qualche
mese lo scoppio della bolla finanziaria, oggi non staremo certo a
parlare del “primo presidente afroamericano della storia”. Questo non
toglie nulla della spinta al “change
che ha animato il recente voto americano perché, per quanto simulato e
contraffatto, lo spettro del conflitto di classe ha segnato le elezioni
Usa. Il dato politico significativo dell’evento-Obama è stata la
reintroduzione pesante delle tematiche e dei problemi che ruotano
intorno al nodo capitale-lavoro, ricchezza e sua redistribuzione. Come
è stato segnalato da più parti, l’insediamento di Obama non potrà non
segnare il conflitto sociale dentro i confini americani. Essa segna uno
spostamento su un altro piano, se non del conflitto, perlomeno del
dibattito politico. La parentesi clintoniana ha prodotto (anche e tra
gli altri – dentro un’ovvia continuità neoliberista/imperialista) la
primavera di Seattle. I risultati della presidenza Obama, come già il
contesto più generale, aprono in questo senso prospettive e
interrogativi nuovi.
Quello che è certo è che gli Usa non potranno scaricare i costi della
crisi interamente sugli altri, come ancora era stato il caso delle
precedenti bolle finanziarie: “tigri asiatiche”, “convenzione
internet”, ecc… Questo perché non solo i mercati esteri ma l’intera
riproduzione sociale Usa è in mano alla Finanza, come i casi Enron e il
crollo dei mutui subprimes hanno chiaramente mostrato. Ora però
l’intreccio tra potenze, stati, banche centrali e sistema della finanza
è talmente profondo e inestricabile che il virus si propaga e riproduce
ad ogni latitudine, occupando ogni interstizio economico.

Dentro questo quadro, la questione aperta più scottante (è più sentita dai think tank
americani) è quella del destino della super-potenza Usa in termini di
egemonia e comando del sistema-mondo capitalista. Se la formazione di
un mondo multi-polare conflittuale è il prodotto di un processo di
lungo corso, lo spostamento nella leadership capitalistica mondiale
potrebbe essere, sul medio periodo, l’esito più diretto di questa
crisi: uno spostamento verso Est e l’asse cino-indiano quale nuovo
centro mondiale di accumulazione e direzione capitalista che non smette
di preoccupare le agenzie e i pensatoi statunitensi. Ambienti in cui,
da qualche anno, si parla esplicitamente della possibilità di un
“condominio” cino-americano (“Chimerica”) nel quadro di un G2 informale
Usa-Cina (ovviamente sbilanciato verso gli Usa).

Schiacciata tra questi due poli, l’Europa: politicamente subalterna al
comando atlantico-statunitense (che non ha smesso di indebolirla a
mezzo di guerre: dalla Jugoslavia all’Iraq) è però andata
consolidandosi come area economica integrata ed in diversi contesti
economico-monetari l’Euro viene ora preferito al Dollaro come moneta di
riserva.
Le stesse aree che un lessico eurocentrico osa ancora definire
“emergenti” (quando economie come quella brasiliana hanno tassi di
crescita più vicini alla Cina che all’Europa) hanno fatto presente, ben
prima degli universitari nostrani, che non intendono pagare loro la
crisi. L’America Latina, solo per fare un esempio, va consolidando un
processo di integrazione economica continentale che si concepisce ed
organizza al di fuori del controllo statunitense.
A pagare i prezzi più alti di questa transizione geo-politica saranno
ancora probabilmente le popolazioni di quelle aree del globo al centro
degli interessi geo-economici e geo-politici (medio-oriente e asia
centrale) mentre l’Africa continuerà ad occupare l’ultimo posto nella
geografia politica della globalizzazione.

Il quadro nazionale

I costi della crisi sono già evidenti sul piano nazionale, in un
sistema-paese da sempre all’ultimo posto nelle classifiche europee su
redditi e capacità d’acquisto dei salari, penalizzato dalle scelte
politiche di esecutivi di ogni colore che hanno sacrificato – per anni
– i comparti strategici dell’economia nazionale accettando di occupare
gli ultimi gradini, a bassa composizione organica di capitale,  nel
sistema della divisone internazionale del lavoro.

Il dato  più interessante che ci consegna questa fase è però quello
dell’estrema labilità e precarietà nella stabilizzazione del consenso
per governi che vengono a malapena tollerati finché gestiscono il
presente, scaricati non appena tentano di imporre misure antipopolari.
Quanti già annunciavano il compiersi irreversibile di un fascismo
post-moderno, si sono dovuti ricredere di fronte alla risposta
massificata e capillare dei conflitti cha hanno attraversato il sistema
della formazione. Ben diversamente dal proclamato decisionismo, il
governo Berlusconi tentenna, come i suoi predecessori, in una mera
governabilità dell’esistente. L’uso manu militari
della forza pubblica è stato tanto velocemente minacciato quanto
prontamente ritirato da un esecutivo paralizzato dalla tirannia del
consenso mediatico. La cosa è stata vera, solo per fare alcun esempi,
tanto per il movimento dell’Onda quanto per il NoTav.

Probabilmente i soggetti sociali su cui sarà più facile scaricare
tensioni sociali e pruriti securitari saranno ancora una volta i
migranti (specie se “clandestini”). Anche qui però, a prevalere non è
l’acquiescenza né l’accettazione: le spinte soggettive messesi in moto
dopo l’assassinio di Abba e la semi-insurrezione di Castelvolturno sono
segnali importanti. La risposta corale della scuola primaria alla
provocazione delle classi ponte, la presenza massiccia delle donne
migranti alle manifestazioni contro la legge Gelmini sono lo specchio
rovesciato e il più sicuro antidoto alle tendenze xenofobe e populiste
che covano in sacche rancorose di popolazione.

Il movimento No Gelmini che ha acceso
l’autunno sorge e si colloca lungo questo orizzonte al tempo stesso
contradditorio e potenziale. La spinta iniziale alla mobilitazione è
provenuta dal connubio genitori-insegnanti, dalla percezione precisa
dell’impatto biopolitico della riforma, nella misura in cui
questa giungerebbe a stravolgere i precari equilibri che tengono
insieme tempi di vita, di cura e di lavoro nell’epoca della precarietà
diffusa. Una protesta in larga parte spontanea e partita dal basso,
autonoma e non di rado insofferente dei macchinosi tempi sindacali,
incalzati e letteralmente spinti alla convocazione dei pochi scioperi
da una base che ha mostrato di avere vedute più ampie e bisogni più
alti.
Da parte governativa il provvedimento è così direttamente figlio della
crisi che esplicita senza pudori la necessità di “fare cassa”, la
violenza ineluttabile e “normale” della razionalità economica. Lo
sguardo miope del commercialista sottende però la finalità politica di
una ri-articolazione gerarchica del sistema-formazione lungo le linee
della classe, del genere e del colore. Una riforma classista
perché nega una volta per tutte la formazione come bene comune,
istituendola come merce al tempo stesso svalorizzata e cara, la cui
qualità è direttamente proporzionale al prezzo che si è disposti a
pagare. Sessista perché tendente a ricollocare la donna nella
sfera  domestica della cura, relegando  il compito della riproduzione
all’istituzione-famiglia, con tutto ciò che esso comporta in termini di
addomesticamento delle libertà e dell’emancipazione femminile. Razzista
perché dietro l’istituzione di classi separate (o ponte, fintamente
“integratrici”) si cela una volontà politica di educazione alla
subalternità della forza-lavoro migrante fin dalla più tenera età.
Se la scuola è sempre stata un apparato ideologico di
formazione/disciplinamento/controllo del corpo sociale complessivo –
nessuna nostalgia quindi per un “pubblico” declinato innanzitutto come
“statale” – la riforma Gelmini segna il definitivo completamento di un
progetto di lungo corso del comando capitalista, volto allo svuotamento
delle potenzialità di soggettivazione politica di massa, sganciata dal
ciclo della valorizzazione capitalista, che la scuola da sempre riveste.

Sollevatasi dopo la scuola primaria, l’Onda universitaria
ha qualificato soggettivamente e politicamente l’opposizione sociale
alla legge, intuendo nello slogan “noi la crisi non la paghiamo” il
nesso profondo che lega politica nazionale dei tagli e crisi
internazionale di sistema; la popolarità e velocità di propagazione e
riproduzione del messaggio sono segnali precisi di una indisponibilità
popolare diffusa a pagare i costi sociali della crisi.
La mobilitazione, dentro e oltre l’università, ha attivato energie sociali inedite, salutando la nascita di una nuova generazione politica
che assume – ma non per questo accetta – la precarietà come orizzonte
esistenziale di un futuro incerto già prefigurato nel presente. Un
movimento che ha messo le mani avanti e precisato, a partititi e
sindacati, il suo carattere orgogliosamente irrappresentabile,
determinato e unito nel respingere ogni tentazione di autonomia del
politico quanto molteplice nella composizione e variegato nelle forme
espressive. Un movimento compiutamente “post-ideologico” si è detto,
già tutto proiettato in avanti nel percepirsi come pura forza-lavoro
intellettuale senza futuro. Una ricchezza che può trasformarsi in
limite se il disconoscimento radicale della delega si trasforma in
rifiuto della relazione politica in astratto, del momento politico tout
court.

I limiti e le difficoltà dell’Onda sono però quelli connaturati ad ogni
movimento nuovo e spontaneo. Il paradosso che li attraversa è quello di
abitare lo spazio deserto, incerto e potenziale della crisi restando
ancora ostaggio delle sovrastrutture ideologiche del discorso pubblico
“democratico” e “legalitario”. Un campo popolato da intellettuali di
corte che additano nella corruzione la causa degenerativa di un sistema
altrimenti equo e riformisticamente perfettibile. Retoriche che
naturalizzano il carattere invece politico e storico del comando di
classe, veicolando una interpretazione a-storica e immutabile
dell’organizzazione sociale, come se  le leggi non fossero il prodotto
di rapporti di forza sempre precari ma tavole bibliche scolpite nella
roccia. Proprio quando la legittimità del sistema vacilla, aprendo
scenari di radicalizzazione dello scontro e  possibilità reali di
trasformazione, questi professionisti dell’addomesticamento (che
occupano il campo vasto e ambiguo della “società civile” e
dell’“opinione pubblica”) confondono gli obiettivi, riducendo
l’ampiezza della questione sociale a banalità di cronaca penale.
Smascherarne il ruolo di difensori dello status-quo, ricentrando il
dibattito politico sulle cause strutturali e sistemiche della
sperequazione sociale, deve allora diventare compito non secondario
delle soggettività antagoniste.
 
Nella parzialità metodologica del nostro punto di vista antagonista,
non si tratta tanto di confrontare le forme dei movimenti sorgenti con
le nostre aspettative, quanto di pensare per movimenti futuri,
cogliendo nell’involucro del presente i nodi centrali del conflitti di
domani. Il movimento dell’Onda e quelli raccoltisi negli ultimi anni
intorno alla difesa di territori e beni comuni, hanno iniziato a
fornire gli spunti di una tendenza più generale che mette al centro
dell’azione politica una miscela inedita di antagonismo e
(contro)cooperazione, in cui il momento del conflitto è sempre
accompagnato da pratiche costituenti di alternativa, al di furori però
di una qualunque mediazione istituzionale risolutiva. Diventa allora
perdente e contro-producente ritentare percorsi già provati nel passato
e rivelatisi fallimentari, smaniando di trovare una sponda politica
costi quel che costi, magari nelle porosità eretiche del PD di oggi in
sostituzione di quelle verdi, rosse e arcobaleno di ieri. Necessario
diventa invece scommettere a tutto campo sui percorsi di mobilitazione
sociale sprovvisti di rappresentanza politica che la macchina della
crisi continuerà a tracimare.
Agirne le ambivalenze e potenziarne la conflittualità in direzione
anti-capitalistica e anti-sistemica è l’unica strada percorribile per
un antagonismo all’altezza dei tempi, affinché “noi la crisi non la
paghiamo” non resti solo uno slogan ma la coordinata di partenza di un
necessario programma di riappropriazione della ricchezza sociale.

Antagonist* contro la crisi

Novembre 2008

Posted in Antifascismo | Comments Off on Per un uso antagonista della crisi

Laboratorio Crash… alla conquista di nuove mete!

Ancora polizia, ancora sigilli, ancora sgomberi a Bologna. La triste
routine che da qualche anno si ripete in città ha sottratto ai nostri
territori l’ennesimo spazio pubblico, aperto e autogestito. Il
Laboratorio Crash! aveva conquistato lo spazio di Via Zanardi durante
il grande corteo antagonista in difesa degli spazi sociali e contro il
modello cofferatiano del 6 ottobre scorso, una tappa di approdo per
tutte quelle istanze politiche, sociali e culturali emerse a Bologna da
quando il sindaco sceriffo dichiarò guerra ai deboli, ai soggetti
emarginati e contrappose pezzi di città una contro l’altra.
Dopo quella
grande giornata di lotta, a decine abbiamo iniziato a costruire un
porto sicuro, aperto a tutti quei soggetti stanchi di vivere in
solitudine la loro deriva nella metropoli, tempestata di precarietà,
razzismo e intolleranza. Ieri quel porto, usato durante tutto un anno
per dare soccorso a naufragi culturali e far salpare proposte di
socialità alternative e pratiche di conflitto è stato smantellato,
chiuso, sigillato!
 

Leggiamo dai giornali che sono pronti diversi rinvii a giudizio per
alcuni compagni e compagne presenti alle prime ore dell’occupazione di
via Zanardi, a cui si aggiungono ipotetiche accuse per un blocco della
linea ferroviaria adiacente al Laboratorio Crash. Aldilla’ del
necessario attraversamento di quella linea ferroviaria da parte del
corteo (Sig. Tampieri siamo antagonisti, ma ancora non sappiamo
volare!
) per raggiungere l’occupazione, crediamo che quello slogan e
quella pratica che viene dal movimento no-gelmini che dice "se ci
bloccate il futuro, vi blocchiamo la città" sia pienamente legittima e
costituisca un momento necessario di appropriazione di tempi e spazi
metropolitani quando la città e chi la governa non vuole ascoltare le
istanze sociali reclamate dal basso.
In questi giorni che il
Laboratorio Crash ha tirato gli ormeggi dal porto di Via Zanardi i
blocchi stradali, la comunicazione radicale, la riappropriazione
diretta saranno la quotidianità agita da decine di precarie e precarie
che hanno preso la direzione giusta, la direzione movimento!
Da questa
settimana inizia un nuovo viaggio che ha già annunciato le proprie
mete, la prima sarà la costruzione di un nuovo porto occupato, un nuovo
Laboratorio Crash da cui far partire la realizzazione di quella città
per cui ci ostiniamo a lottare: aperta, tollerante e antirazzista. 

 

Invitiamo tutti e tutte quelli che come noi coltivano questo sogno di inziare a realizzarlo al nostro fianco!
Ribaltare
la situazione è possibile… prendendo la direzione giusta! I compagni
e le compagne del Laboratorio Crash verso la conquista di nuove mete…

Laboratorio Crash!

							
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FLASH: E’ in corso il sequestro del Laboratorio Crash!

ore 9.00: Diventa effettivo il sequestro giudiziario del Laboratorio Crash.
Dopo non aver accettato il ricorso, il Tribunale del Riesame aveva di
fatto deciso lo sgombero, tramite sequestro, dello stabile di via
Zanardi 106.
In questo momento la polizia giudiziaria sta ponendo i sigilli, con la protezione di numerose camionette della polizia.
Il segnale dato da Crash nei giorni scorsi, e con le iniziative di
riappropriazione di sabato, è chiaro: "non sono gli sgomberi che
fermeranno il nostro movimento nella direzione giusta!"

Seguiranno aggiornamenti…

ore 12: Conferenza stampa del Laboratorio Crash! che denuncia, dopo l’ennesimo sgombero, il clima da persecuzione politica
creato a Bologna nei confronti di chi, tramite gli strumenti della
riappropriazione e della produzione di cultura dal basso, apre spazi
per far rivivere la città. Un clima costruito da chi sta proponendo un
modello di città dove razionalizzarci e sacrificarci per affrontare la
crisi, "ma a tutto questo" dice il Laboratorio Crash! "noi ci sottraiamo, riprendendoci pezzi di città, perchè non siamo noi a dover pagare la loro crisi".
Viene più volte ribadito come solo spazi aperti, autogestiti, possano
creare la vera alternativa a una città dove due ragazzi vengono
aggrediti solo perchè vestiti in maniera "diversa", e nel frattempo
importanti luoghi di aggregazione, come il Pratello, vengono chiusi da
assurde ordinanze.
Il portavoce di Crash! rilancia la direzione che il Laboratorio
continuerà a seguire, quella delle lotte socili, proseguendo il
percorso già intrapreso in città.

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